Posts tagged risparmio

HOME – un film da vedere su Youtube

Home è un film documentario sulla nostra “Casa”, la Terra.

E’ visibile gratuitamente su Youtube a questo LINK – è in inglese ma con sottotitoli; sarebbe molto interessante se qualcuno traducesse i sottotitoli in italiano per facilitarne la visione anche a chi con l’inglese se la cava non bene – questo blog (se inviate la traduzione) la pubblicherà.

Il film verrà proiettato per una visione insieme durante la festa del Gruppo Ambiente del 21 maggio prossimo.

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Earth hour – domani luci spente per un’ora in tutto il mondo

Da http://www.misna.org

NORD E SUD UN’ORA INSIEME PER LA TERRA<!– –>

Natura e Ambiente, Brief
Dal “Cristo Redentore” che guarda la baia di Rio de Janeiro alle piramidi egiziane, dal grattacielo “Burj Khalifa” di Dubai alla “Città proibita” di Pechino, centinaia di monumenti e luoghi simbolo in tutto il mondo spegneranno domani sera le luci per un’ora, un’ora dedicata alla Terra e allo sviluppo sostenibile. La campagna, denominata in inglese “Earth Hour”, ha raccolto quest’anno adesioni in 125 paesi, una quarantina in più rispetto al 2009; a partecipare per la prima volta sono anche Madagascar e Mauritania. Gli organizzatori del “Worldwide Wildlife Fund” (Wwf) sottolineano che la popolarità crescente dell’iniziativa è dovuta al timore che modelli produttivi fortemente inquinanti e consumi energetici irrazionali feriscano il pianeta in modo irreparabile, in primo luogo contribuendo al surriscaldamento globale. Ad acuire questa preoccupazione è stata anche la conferenza internazionale sul clima che si è svolta a Dicembre a Copenhagen. Nonostante grandi aspettative, i negoziati nella capitale danese non hanno portato ad alcun impegno vincolante rispetto ai tagli alle emissioni di gas serra, almeno in parte responsabili del surriscaldamento globale.[VG]

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Pannelli nel Sahara di Desertec e l’ Ambizione Verde Mediterranea

Ci sono idee, progetti che certe volte riescono a prefigurare il nuovo mondo. Desertec – l’ impresa che vuole produrre enormi quantità di energia nel deserto del Sahara per poi trasportarla in buona parte in Europa – potrebbe essere una di queste. Ieri, l’ italiana Enel ha annunciato di essere diventata partner dell’ iniziativa, che è stata lanciata l’ anno scorso da una serie di grandi assicurazioni, banche e industrie tedesche e che ora cerca di coinvolgere partner internazionali. L’ investimento complessivo è enorme, 400 miliardi di euro. E anche il risultato potrebbe essere gigantesco: il 15% delle esigenze energetiche europee coperte da questa fonte di energia rinnovabile (solare, cioè pannelli disposti come sedie a sdraio sulla sabbia, ma anche eolico) forse già entro la fine del decennio. Assieme a Enel Green Power, dunque, ieri sono entrate in Desertec Industrial Initiative anche un’ impresa spagnola, una francese e una marocchina. Una della Tunisia potrebbe aderire a breve. Che l’ Enel abbia colto l’ opportunità di un progetto gigantesco – per quanto non facile da realizzare per ragioni tecniche e geopolitiche – è il segno di come l’ azienda italiana sia diventata uno dei grandi protagonisti, e tra i più dinamici, dell’ industria energetica internazionale. Già numero uno mondiale nell’ abbattimento delle emissioni di gas serra nei Paesi in via di sviluppo. L’ importanza di Desertec, però, va oltre le dimensioni del progetto. L’ ambizione innovativa – e sorprendente – mostrata dai tedeschi sta infatti nel superamento concreto della «filosofia di Kyoto», cioè di quella strategia tutta e solo fondata su tagli, oggi economicamente insopportabili, alle emissioni di anidride carbonica. Strategia che si è arenata alla Conferenza di Copenaghen lo scorso dicembre. Quello che Desertec – e l’ ispiratrice Munich Re, e Deutsche Bank, Siemens, Rwe, E.On, Saint-Gobain e ora anche Enel – racconta è che le energie rinnovabili possono probabilmente essere la risposta al surriscaldamento del pianeta, se si è davvero disposti a investirci. Se funziona, tagliare le emissioni nocive sarà molto, molto meno costoso.

Taino Danilo

Pagina 42
(23 marzo 2010) – Corriere della Sera

Chiara P. III D

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Sos acqua, ogni giorno muoiono 5.000 bambini

Oltre 250 milioni di persone a rischio sete

Otto milioni di morti all’anno. Cinquemila bambini al giorno, uno ogni venti secondi. Nemmeno le guerre e le violenze che tormentano ogni angolo del Pianeta, messe tutte insieme, possono tanto. La mancanza d’acqua, sì. La tragedia silenziosa, che si lega a quella di risorse idriche non potabili – se non addirittura inquinate – si consuma lontano da telecamere e notiziari, ma è ormai letale quanto il più spietato dei virus.

I numeri del fenomeno, snocciolati dall’Onu in occasione della Giornata mondiale dell’acqua di ieri, fanno tremare. E non solo per i morti. Basti pensare che un abitante su due sulla Terra vive in case senza sistema fognario (circa tre miliardi di persone), uno su cinque non ha acqua potabile a sufficienza (oltre un miliardo), o che – tanto per fare un riferimento geografico – nell’Africa subsahariana fino a 250 milioni di persone rischiano di morire di sete.

Una situazione tanto insostenibile quanto l’abisso che separa il Sud del mondo dai Paesi più sviluppati. Dove, come ha ricordato il segretario generale dell’Onu Ban Ki-Moon presentando il rapporto dall’Unep, il programma sull’ambiente delle Nazioni Unite, «giorno dopo giorno si versano 2 miliardi di tonnellate di acque reflue non trattate e di rifiuti industriali agricoli nel sistema idrico mondiale, quando i poveri continuano a patire soprattutto a causa dell’inquinamento, della carenza idrica e della mancanza di igiene». Così, mentre la mancanza di acqua pulita nel Sud del mondo uccide ogni anno 1,8 milioni di bambini sotto i cinque anni d’età di tifo, colera, dissenteria e gastroenterite e la metà dei letti d’ospedale è occupata da pazienti che soffrono di malattie legate al consumo d’acqua contaminata, nei Paesi “ricchi” l’acqua abbonda e viene sprecata. Un cittadino americano ne ha a disposizione mediamente 425 litri al giorno (nemmeno uno in molti Paesi africani e asiatici), uno italiano 237.
Certo, l’emergenza “siccità”, con la conseguente carenza d’acqua, negli ultimi anni si è affacciata anche in Occidente. È il caso dell’Europa dove, secondo dati diffusi da Bruxelles, tra il 1976 e il 2006 – anche a causa del surriscaldamento del Pianeta – almeno l’11% degli abitanti ha sofferto di carenza d’acqua, con un danno per l’economia di almeno 100 miliardi di euro. Tanto che l’altro allarme lanciato dall’Onu riguarda il futuro: nel 2030, stimano le Nazioni Unite, oltre 3 miliardi di persone rischiano di rimanere senz’acqua, con una pesantissima ricaduta anche sulla produzione agricola e alimentare, che nell’acqua trova il suo ingrediente essenziale.

L’Italia, pur essendo uno dei Paesi al mondo con maggiore disponibilità d’acqua, non se la cava meglio: al Sud e nelle isole il 15% della popolazione – ossia circa 8 milioni di persone – per quattro mesi all’anno (da giugno a settembre) è sotto la soglia del fabbisogno idrico minimo, fissato in 50 litri di acqua al giorno a persona. Senza contare il problema degli sprechi, della dispersione d’acqua (anche oltre il 30%, secondo il rapporto Onu, a causa delle reti idriche fatiscenti) e dei reati ambientali, sulla cui gravità non a caso ieri ha insistito anche il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. All’Accademia dei Lincei, in un convegno sulle frane e il dissesto idrogeologico, il capo dello Stato ha detto: «Occorre contrastare comportamenti di irresponsabile superficialità e ripetute violazioni delle norme poste a tutela del territorio, troppo spesso causa di danni irreparabili che depauperano l’ambiente e compromettono il delicato equilibrio dell’ecosistema, con effetti catastrofici, per le persone, per i loro beni, per l’intera nazione». E il pensiero va a un altro incubo legato all’acqua, stavolta tutto italiano.

Viviana Daloiso
“Avvenire” 23 marzo 2010
Chiara P. III D

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L’acqua un bene vitale

Sembra facile. Apri il rubinetto e l’acqua esce. Non è un gesto scontato ma noi lo viviamo come un fatto ordinario, persino insignificante. In certi parti del mondo invece l’acqua scarseggia e un po’ dappertutto i poteri egemonici stanno allungando i loro artigli sul bene più prezioso di madre terra. Le guerre del futuro (ma anche molte del presente) saranno per l’acqua. Mi sono resa conto della «sacralità» dell’acqua da piccola, in Somalia. Non sempre c’era. Ogni tanto la toglievano. Dovevi riempire taniche nei momenti in cui c’era, per fartela bastare per tutto, per lavarti, bere, cucinare, lavare i panni. Noi eravamo fortunati, la gente di città aveva le tubature in casa. Mia madre mi raccontava invece che la sua infanzia è stata scandita dalla ricerca dell’acqua. Doveva fare i chilometri per procurarsela. Mia madre è stata (e lo è ancora in un certo senso, se lo sei stato, lo sei per sempre. Lei è molto orgogliosa di questo) nomade. Badava ai dromedari, alle capre e insieme alla famiglia si spostava proprio alla ricerca di acqua e di pascoli verdi. «La nostra vita era gestita dall’acqua», mi dice sempre. In un certo senso la vita di tutti noi lo è, ma mia madre nomade ne aveva la consapevolezza. Oggi una mia amica Saba Anglana, cantante italiana-etiope-somala (www.sabaanglana.com), dice la stessa cosa. Il suo nuovo album si intitola Biyo. Questa è una parola somala che si pronuncia Bio. Saba ha notato la coincidenza. Bio è vita, ma Biyo in somalo è acqua. Canta in tante lingue e in tutti i brani racconta la sacralità di questo liquido prezioso. Registrato tra Italia ed Etiopia in Biyo si nasconde il cuore liquido di un’Etiopia ricca d’acqua, che pure vive una continua emergenza idrica. Una metafora di quello che potrebbe diventare l’intero globo se non stiamo attenti. L’acqua è vita, dobbiamo difenderla ad ogni costo.

Igiaba Scego

L’Unità (24 marzo 2010)

Chiara P. III D

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Riciclare l’acciaio e l’alluminio aiuta le industrie e l’ambiente

Repubblica — 22 marzo 2010   pagina 42   sezione: AFFARI FINANZA

Le rinnovabili sono la via maestra per la produzione di nuova energia, ma nel breve periodo la fonte più interessante dal punto di vista economico resta il taglio degli sprechi. E gli sprechi sono tanti visto che per due secoli il sistema industriale si è tarato sull’ illusione di poter trovare un’ energia sostanzialmente infinita e a basso prezzo. Ora l’ ultimo erede di questa teoria fallimentare, il petrolio, si avvia al capolinea lasciando dietro di sé una scia di devastazione climatica e una forte instabilità dei prezzi. A questo punto in molti settori produttivi è scattata la molla della riconversione green, anche perché risparmio energetico e risparmio economico tendono a coincidere. La direttiva europea nel campo dell’ imballaggio ha spinto in questa direzione e molte industrie del settore – sul modello della carta e del vetro, i primi a puntare sugli aspetti ambientali del recupero – stanno scommettendo sul miglioramento delle prestazioni ambientali. L’ ultimo studio è dell’ Anfima, l’ Associazione nazionale dei fabbricanti di imballaggi metallici che raggruppa la maggior parte delle 50 aziende del comparto (5 mila dipendenti, 1,8 miliardi di euro di fatturato) ed è collegata al Cna (Consorzio nazionale per il riciclo e il recupero degli imballaggi in acciaio) e al Cial (il consorzio per l’ alluminio). Quando si pensa all’ acciaio scatta immediatamente l’ associazione con le armi, ma negli ultimi 200 anni, da quando esiste l’ imballaggio in acciaio, molte guerre sono state vinte con l’ acciaio delle scatolette alimentari che permettevano ai soldati di sopravvivere più che con l’ acciaio dei cannoni. In assenza di guerre, quello che conta è la capacità di produrre di più usando meno materiali e meno energia. «Da questo punto di vista abbiamo fatto molta strada», spiega Rosolino Redaelli, presidente di Anfima. «L’ acciaio ha scelto la sostenibilità puntando con forza sulla diminuzione delle quantità di materiale usato nelle singole confezioni e sulla diminuzione dei consumi energetici grazie a un sistematico recupero degli imballaggi che ci vede oggi nella parte alta della classifica europea. Tra l’ altro abbiamo la fortuna di lavorare con un materiale che si può riciclare all’ infinito e che, ad ogni ciclo virtuoso, garantisce un vantaggio per la singola industria e per la collettività: sarebbe sciocco non approfittarne». All’ apparenza le scatolette che acquistiamo al supermercato sono sempre le stesse, sostanzialmente immutate da decenni anche perché l’ acciaio, materiale piuttosto essenziale, si presta meno di altri al restyling estetico. Eppure le modifiche introdotte sono state consistenti: basta pensare che, nel caso del classico barattolo da mezzo chilo, in otto anni è stata realizzata una drastica cura dimagrante che ne ha dimezzato il peso. Un processo che ha portato significativi vantaggi ambientali perché per ogni tonnellata di acciaio riciclato si tagliano i consumi energetici del 70 per cento risparmiando 1.8 tonnellate di minerali di ferro, 572 litri di petrolio e 1,8 tonnellate di CO2: quella emessa da un’ utilitaria che fa 15 mila chilometri o quella catturata in un anno di crescita da 98 alberi della foresta pluviale. Un beneficio che va moltiplicato per le oltre 370 mila tonnellate riciclate (il 77,5 per cento del recuperato, più dell’ obiettivo europeo): una quantità che permetterebbe di coprire con una lamiera spessa come quella di una scatola di pelati una superficie pari a 4,5 volte l’ estensione di una città come Roma evitando la C02 emessa in un anno da 260 mila auto di piccola cilindrata. Anche le cifre dell’ alluminio sono consistenti: il 64 per cento viene recuperato e il 58 per cento (38.500 tonnellate) riciclato. In questo modo si evitano quasi 400 mila tonnellate di CO2 e si risparmia l’ energia contenuta in 140 mila tonnellate di petrolio. L’ alluminio poi ha un secondo legame con l’ energia. Almeco, un colosso da 100 milioni di euro con stabilimenti in Italia, Francia e Germania, ha prodotto un particolare alluminio con capacità riflettenti che raggiungono il 98 per cento: può essere utilizzato nel solare termodinamico. (a. c.)

Chiara P. III D

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Freeshop: un altro modo di usare gli oggetti

Rilanciamo una notizia  sui “negozi gratis”: si tratta di negozi dove si possono prendere oggetti utili o che piacciono senza pagarli – un modo di combattere la società dei consumi che dall’Austria arriva nel nostro Paese.

L’esperienza di una giovane italiana a Innsbruck, in Austria,
dove stanno nascendo i primi freeshop della catena Kostnix

Il negozio dove è tutto gratis
meno consumi e meno rifiuti

Gli oggetti a disposizione di chi ne ha bisogno, non importa
se ricco o povero. Esperienze analoghe in Olanda e in Belgio
di ROSARIA AMATO

ROMA – Kostnix in tedesco significa “costa niente”, ed è il nome scelto da un gruppo di amici per il primo “freeshop” di Innsbruck, aperto nel marzo del 2007. Gli oggetti del negozio non sono duty free, liberi da tasse doganali, come nei free shop degli aeroporti: sono proprio gratuiti. Le uniche norme da rispettare sono: non prendere più di tre oggetti al giorno, e non rivendere in nessun caso le cose prese al negozio.

Quella dei “negozi gratuiti” è un’esperienza avviata da qualche anno in Austria (a Vienna per esempio ce ne sono due), in Olanda e in Belgio. In una striminzita voce Wikipedia spiega che “il loro scopo è offrire un’alternativa al sistema capitalistico. I freeshop sono simili ai negozi di carità, solo che tutto è libero e disponibile, che si tratti di un libro, un pezzo di arredamento, un indumento o un articolo casalingo (…) La maggior parte delle persone che usano questi negozi sono mosse dal bisogno (scarse risorse finanziarie, come nel caso di studenti o anziani) o dalla convinzione (anti-capitalisti)”.

“A noi non importa che chi prenda gli oggetti sia in uno stato di bisogno assoluto, che sia povero, può anche essere ricchissimo – spiega Valentina Callovi, di Trento, una dei due italiani che gestisce Kostnix, a Innsbruck (gli altri volontari sono tutti austriaci) – l’importante è che quello che ha preso gli serva davvero, o gli piaccia”. E dunque l’obiettivo dei freeshop non è quello di combattere la povertà, ma il consumismo, la tendenza a disfarsi degli oggetti che non servono più gettandoli nel cestino, senza pensare che anziché diventare rifiuti, con i pesanti costi di smaltimento che ne conseguono, potrebbero ancora servire a qualcuno, che eviterebbe così di acquistarli, sprecando danaro.

“L’obiettivo del freeshop è quello di contrastare la società dei consumi e la società usa e getta e sostenere un approccio più cosciente con le risorse. Dovrebbero esserci meno produzione, meno rifiuti e anche meno lavoro. Chi prende oggetti da un freeshop, risparmia i soldi che avrebbe dovuto spendere per comprarlo e così contribuisce anche ad abbattere il lavoro retribuito, simbolo del capitalismo”, si legge sul sito di Kostnix, che ha anche una versione in italiano.

“Siamo poco più di una decina di persone – racconta Valentina – e quindi riusciamo a tenere aperto Kostnix solo il martedì e il mercoledì. Ognuno di noi vi lavora senza retribuzione per due ore la settimana. L’affitto del negozio, 20 metri quadri nel centro storico di Innsbruck, costa 400 euro al mese. Ci finanziamo con un concerto annuo, delle serate con il vin brulè nelle quali ognuno offre quello che vuole, la città di Innsbruck ci dà 1000 euro l’anno, e la stessa cifra ci viene versata dai Verdi, che apprezzano il nostro contributo all’ambiente (contribuiamo alla riduzione dei rifiuti attraverso il riutilizzo degli oggetti”.

Valentina Callovi è di Trento, e si è trasferita a Innsbruck sette anni fa per fare l’università. Studia come traduttrice e interprete, adesso sta per laurearsi. “Vivo qui per scelta, non per necessità”, precisa. Cos’arriva a Kostnix? “Libri, vestiti, soprattutto per bambini, giocattoli, molte cose per la casa, dai piatti agli elettrodomestici, cd, dvd, ma anche computer e televisioni. La cosa più di valore che ci è arrivata finora è stato un abito da sposa. Per le cose più ingombranti, come armadi o divani, c’è la bacheca che raccogli gli annunci”.

Molto variegati i fornitori, un po’ di meno gli acquirenti: prendere gratis oggetti usati, anche in un Paese come l’Austria, può risultare un po’ socialmente squalificante. “Vengono a prendere gli oggetti soprattutto studenti – dice Valentina – oppure signore di 50-60 anni per lo più straniere (qui c’è per esempio un’ampia comunità turca), o infine donne con i bambini piccoli”. Una platea piuttosto ridotta rispetto a quella potenziale, e soprattutto rispetto all’obiettivo che si propone Kostnix, che è un obiettivo molto ambizioso, in qualche modo di ‘riformare’ i valori della società capitalistica: “Perché lavorare 40 ore a settimana per acquistare scarpe firmate, quando si può averle gratis, lavorando meno e godendo di una quantità maggiore di tempo libero?”, si chiede Valentina.

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Feste “eco-sostenibili”

Anche quest’anno si avvicina il Natale, anche quest’anno si discute di spese natalizie e di alberi da addobbare. Ci sono però come in fondo tutti sappiamo dei problemi quando si parla di alberi di Natale: l’abete non ha radici e quindi muore subito dopo le feste, l’abete viene tenuto troppo al caldo, l’abete dopo le feste viene scaraventato nei cassonetti pur essendo vivo, l’abete viene ripiantato, con tutta la buona volontà, sulle pendici del monte Morello mentre preferirebbe vivere a più di 1000 metri. Tralascio le questioni economiche, senza però dimenticare che per quest’anno è stato stimato dalla Coldiretti un giro d’affari di 140 milioni di euro in Italia.

Sia sul web che su di un quotidiano ho trovato delle novità (e non) per festeggiare un Natale “eco-sostenibile”. Faccio una sorta di elenco di quel che ho trovato, così che chi vuole possa leggere solo ciò di cui è interessato (lo so, leggere fa fatica a volte 😉 )

Tutti sono a conoscenza di centri di raccolta qui a Firenze per alberi di Natale? Beh io sarei il primo a dir di no e ho voluto informarmi.
L’associazione “Amici della Terra” e OBI-Italia, in collaborazione con l’Azienda Vivaistica “Bani” di Castel San Niccolò (Ar), hanno organizzato la campagna “Sempreverde, semprevivo! 2009” (giunta alla sua terza edizione) per il recupero e la ripiantumazione degli abeti natalizi. In breve, per ovviare alla sicura morte degli alberi la OBI ritirerà entro il 9 gennaio prossimo gli abeti in zolla (cioè con le radici) venduti da lei stessa, per poi darli in custodia all’azienda “madre” di Castel San Niccolò, che provvederà alla ripiantumazione. A proposito, la provincia di Arezzo è una delle maggiori realtà italiane per la produzione di alberi di Natale, e il cuore è il Casentino, dove opera un consorzio di 15 produttori.

Se proprio è impossibile rimettere a dimora l’abete (per esempio perché non ha radici), tanto vale provare con il compostaggio (cioè trasformare, grazie all’aiuto di batteri, il legno in terricio “arricchito”)…meglio che buttarlo nell’indifferenziato, certo!, ma il legno dell’abete (e delle conifere in generale) è pieno di resine e quindi particolarmente difficile da far “digerire” ai batteri. Allora se credete che l’albero sia in buone condizioni, andate a fare una scampagnata verso l’Abetone e portate con voi l’abetino!

Per chi volesse introdurre un elemento nuovo nella tradizione natalizia, la Forestale suggerisce a tutti di utilizzare altre piante in alternativa all’abete, piante più adatte al clima di pianura e città, come l’agrifoglio, il ginepro, il corbezzolo, il viburno, il leccio e l’alloro. Qui il sito della Forestale.

E gli addobbi pubblici? La quantità di corrente sprecata dalle luci natalizie è considerevole, tuttavia sono pochi i comuni che fanno fronte a questo problema.
In Italia la soluzione più “eco-sostenibile” è rappresentata da un abete della città di Milano illuminato da luci a led alimentate da 9 biciclette! I pedalatori (chiunque può farlo) fanno girare un rullo che a sua volta aziona una dinamo connessa ad una batteria. Ed ecco la corrente. Prima di Milano una cosa simile è stata proposta a Copenaghen. Non per niente Copenaghen ha una rete di piste ciclabili di 350 km!

l'albero eco-compatibile di MI

Leonardo B. – muschiomo

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Acqua – una risorsa in crisi

Nel XXI secolo la risorsa acqua è in crisi.
Un power point in formato pdf preparato dal prof. Graziano Ghinassi della Università di Firenze.
L’acqua nel XXI° secolo, la crisi di una risorsa-LDVinci

ABBIATE PAZIENZA: si tratta di 106 slides e richiede qualche minuto per aprirsi

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acqua: cosa puoi fare per risparmiarla

L’acqua è un bene prezioso: il nostro corpo è fatto per più dell’80%  di acqua. Sul nostro pianeta l’acqua è l’elemento predominante, ma quella che serve per vivere è l’acqua dolce e per noi umani occorre acqua potabile.

E’ questa acqua che scarseggia perché la inquiniamo con i rifiuti degli usi industriali, degli usi umani, con un abuso scriteriato quotidiano. In molti paesi del mondo l’accesso all’acqua non è per tutti: i più poveri muoiono già ora di sete.

Possiamo risparmiare acqua? Certamente. E ogni piccolo gesto è essenziale.

Qualche consiglio facile per risparmiare acqua.

  • fare la doccia e non il bagno nella vasca
  • chiudere il rubinetto mentre ci si lavano i denti
  • usare riduttori del getto per tutti i rubinetti di casa (mescolano aria all’acqua e il risparmio a parità di getto è grande). I riduttori sono stati pubblicizzati dai Comuni regalandoli alle famiglie, ma se in casa non ne avete, si possono comprare per pochi centesimi in qualsiasi negozio di idraulica o ferramenta
  • installare sciacquoni a risparmio (una pipì non richiede 10 litri di acqua potabile per essere eliminata dal water!)
  • usare l’acqua del risciacquo per esempio delle verdure per bagnare le piante
  • usare la lavatrice solo a pieno carico e con un programma di risparmio energetico
  • non buttare nell’acquaio l’olio delle fritture (si può smaltire con speciali programmi di raccolta differenziata rifiuti speciali nei Comuni più avanzati, oppure chiudere in un sacchetto di plastica e buttarlo nel cassonetto). L’olio delle fritture è un rifiuto speciale, cioè inquinantissimo.
  • non consumare acqua in bottiglia, che è meno pura di quella corrente dell’acquedotto e meno sana, oltre che avere un impatto ambientale devastante sia perché produce inquinamento da plastica delle bottiglie, sia perché viene trasportata per centinaia di chilometri sui tir inquinando l’aria.

Chi conosce altre strategie per risparmiare acqua, arricchisca la discussione lasciando un commento

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